Adriano
Paolella è architetto, docente di Tecnologia architettonica preso l'Università
di Reggio Calabria. E' il curatore del libro "People meet in the re-cycled
city", nono volume della collana "Re-cycle Italy", basata su un
progetto di ricerca, finanziato dal MIUR, con l'obiettivo di esplorare e
definire nuovi cicli di vita per quegli spazi del territorio che hanno perso
senso, uso, attenzione. Il volume può essere scaricato in pdf, facendone
richiesta all'indirizzo: ad.paolella@gmail.com
Il
termine "sostenibilità" è ambiguo, se non si esplicitano i
criteri, i principi su cui si basa questo concetto. C'è la sostenibilità voluta
degli ambientalisti, ma il termine è spesso usato per dare maggiore credibilità
ad operazioni industriali, legate unicamente al profitto
All'insegna
della sostenibilità sono di solito presentati i progetti di rinnovamento
urbano, di cui si sente tanto parlare. Sono in realtà operazioni
immobiliari complesse, che richiedono forti finanziamenti e recuperano spazi
abbandonati all'interno della città consolidata. Sono presenti in tutto il
mondo, a Londra, Berlino, Shangai. Nelle grandi città italiane queste
operazioni sono state meno evidenti. Un esempio è il progetto realizzato nel quartiere
operaio di Isola a Milano, con la costruzione di alcuni grattacieli, uno dei
quali presenta la facciata abbellita da alberi in vaso, chiamati "bosco
verticale" (con un uso scorretto e fuorviante del termine
"bosco", qui applicato a una crescita artificiale e dalla
manutenzione costosissima).
Una
costante di questi progetti è la presenza di grattacieli e già negli anni
Cinquanta si potevano leggere su
"Il Mondo" le critiche di Antonio Cederna a questo modello
architettonico. Sono le stesse critiche che ancora oggi avanzano alcuni
urbanisti:
-
questi progetti con i loro grattacieli si impossessano del paesaggio, lo
modificano e lo dominano, a discapito degli abitanti degli altri edifici.
-
operano trasformazioni profonde facendo tabula rasa del passato
-
gli edifici, destinati quasi esclusivamente ad essere usati come uffici, sono
costruiti con criteri molto restrittivi: es. le finestre non si aprono perché
c'è l'aria condizionata, non si usano le scale ma solo gli ascensori.
Una
persona ha il diritto di modificare il proprio spazio abitativo per renderlo
più idoneo a soddisfare i suoi bisogni. Per esempio in un quartiere di
Reggio Calabria si può notare che nelle
facciate esposte a sud, gli abitanti hanno costruito abusivamente coperture o
verande per difendersi dal caldo. Questo abusivismo è comprensibile, si può considerare un diritto
di adattamento del proprio spazio abitativo. Invece la legislatura lo ha assimilato all'abusivismo delle grandi
speculazioni, con il risultato di disperdere le azioni investigative per
perseguire tanti piccoli abusi invece di concentrarle su quelli più grandi e
poi decidere il condono per tutti, grandi e piccoli, agevolando di fatto la
grossa speculazione edilizia.
Quando
si costruisce o si modifica un edificio, si dovrebbero rispettare solo due
regole:
-
non danneggiare gli altri
-
non danneggiare l'ambiente
Architetti,
ingegneri, urbanisti spesso si considerano onnipotenti. Dovrebbero invece
ascoltare le richieste dei cittadini e usare il loro sapere tecnico per
soddisfare i bisogni espressi.
Se
si osservano le costruzioni delle varie comunità nel mondo, si vedono modelli e
sistemi costruttivi diversi, basati sui bisogni reali degli abitanti.
Oggi,
invece, le forme del costruire tendono all'uniformità. Disposizioni e
regole dell'Unione Europea stanno dando una forte spinta in questa direzione,
perché ignorano le diverse culture e sono emanate solo per soddisfare le
richieste della produzione industriale.
Si
mortifica la creatività delle diverse comunità che sanno conservare ciò
che esiste e adattarlo ai loro bisogni, perché questo agire comunitario
rallenta il processo produttivo e fa diminuire i profitti.
Assistiamo
quindi a un processo di vera e propria colonizzazione culturale, che parte dalla
destrutturazione delle culture locali, per arrivare alla loro sostituzione con
la cultura unica dominante.
In
Italia il processo di urbanizzazione non è stato così forte come in altri
Paesi. Nei piccoli comuni italiani
esistono numerosi edifici e spazi inutilizzati e abbandonati. Lo Stato
non ha i fondi per il recupero, i privati spesso non hanno interesse, perché
non vedono un profitto immediato.
Sono
quindi le comunità locali che devono prendere coscienza di questa loro
ricchezza e appropriarsi di questi spazi, per destinarli ad attività culturali, di produzione
artigianale o di piccolo commercio.
Si
deve distinguere il riciclo, che è una idea industriale e che richiede
un forte dispendio di energia, dal riuso, che è invece un'idea che nasce
dalla comunità, è ciò che ogni persona può fare.
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